In Italia la nascita di un fondo di tutela dei depositi è stato antecedente alla normativa Cee che ne ha imposto la sua realizzazione tra tutti gli stati membri, il che potrebbe far pensare che almeno da questo punto di vista le banche del ‘Bel Paese’ si siano ritrovate diversi passi avanti rispetto alle altre banche comunitarie, ma nella pratica non è così.
Infatti mentre nella maggior parte dei Paesi Ue gli istituti accantonano dei fondi in modo reale oltre che contabile per alimentare un fondo di tutela dei depositi, in Italia non è così e l’accantonamento è solo contabile. Ciò significa che nel caso in cui la Banca d’ Italia dovesse richiedere la raccolta dei fondi per far fronte a una emergenza, le banche dovranno attivarsi per provvedere a tale raccolta.
Quali sono i costi e gli eventuali benefici del FITD?
Trattandosi di un accantonamento puramente contabile non costituisce alcun costo “reale” per le banche l’adesione al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, che trova la sua ‘essenza’ iniziale in un accordo di solidarietà tra gli istituti di credito, anche se ormai la sua adesione è obbligatoria (le banche di credito cooperativo hanno un proprio fondo ma le caratteristiche sono molto simili).
Questo significa che se una banca va in sofferenza o fallisce, la Banca d’Italia chiederà a tutte le altre banche di attivarsi per costituire la riserva necessaria per poter rimborsare, fino al massimale previsto, i correntisti dell’ istituto che non può far fronte ai suoi impegni. Quindi solo al verificarsi di questa ipotesi, una volta che sarà nota la liquidità da destinare la FITD, le banche potranno stimare il costo della loro partecipazione, mentre non possono fare una valutazione a priori.
Questo genere di accantonamento non va confuso con il frazionamento di riserva che le banche sono tenute ad effettuare per garantirsi la liquidità necessaria per poter effettuare i pagamenti ed erogare i prestiti, che invece deve essere costantemente aggiornato. Ciò avviene sulla base di quote fisse, che a loro volta però fanno parte delle riserve, per cui non vanno nel passivo dei bilanci non facendo parte dei costi.
Gli aspetti negativi del FITD
Trattandosi di un accantonamento contabile, il Fondo esiste solo nominalmente, il che significa che se dovesse andare in sofferenza una banca molto grande o più banche contemporaneamente, il rischio che la spirale negativa trascini anche altri istituti di credito più virtuosi è più che reale.
Ciò dà un valore più di tipo “psicologico” alla tutela che può essere offerta ai correntisti (sono tutelati i conti correnti, i conti deposito, gli assegni circolari, ma sono esclusi ad esempio i pronti contro termine), che ricordiamo avrebbero diritto alla restituzione fino a 100 mila euro dei propri depositi (il calcolo si fa per intestatario e in funzione di ciascuna banca, quindi in caso di somme superiori si è più tutelati se vengono distribuite presso diversi istituti di credito o cointestate)
L’incremento del patrimonio delle banche: il vero nodo da sciogliere
Già da qualche anno il comitato di Basilea ha imposto dei correttivi sulla quota di patrimonio che le banche devono detenere, perché, sulla base di particolari test di stress finanziario, non rischino il default (come imposto da Basilea III). Questo ha inevitabilmente portato ad un aumento dei costi necessari per raggiungere questi obiettivi, stimati intorno al 4%. Una tutela in più, certo, ma che inevitabilmente viene scaricata sui correntisti.