L’attività che il lavoratore si impegna a prestare costituisce l’oggetto del contratto di lavoro e riveste un’importanza fondamentale al fine di determinare quali sono i diritti e doveri delle parti. Per tale motivo, acquista particolare rilievo, per il lavoratore, la conoscenza della propria posizione professionale.
Al riguardo, l’art. 96, co. 1, disp. att. cod. civ., dispone che “l’imprenditore deve far conoscere al lavoratore, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto”.
È poi previsto, a carico del datore di lavoro, un obbligo di informazione scritta, entro 30 giorni dalla data dell’assunzione, circa “ l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore” (art. 1, co.1, lett. f), D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 152).
Categoria ed inquadramento unico. Il codice civile (art. 2095) distingue poi i prestatori di lavoro in dirigenti, quadri (inseriti con la L. 13 maggio 1985, n. 190), impiegati ed operai. I requisiti di appartenenza alle indicate categorie sono stabiliti dai contratti collettivi (art. 2095, co. 2, cod. civ.), in mancanza dei quali si applicano, per la distinzione fra impiegati ed operai, i criteri previsti dal R.D. 13 novembre1924, n. 1825 (art. 95, disp. att. cod. civ.).
Successivamente, la contrattazione collettiva, a partire dalla tornata contrattuale 1973-1974, ha adottato un sistema di classificazione professionale non più fondato sulla separazione tra impiegati ed operai, ma su di una classificazione unica (c.d.inquadramento unico), suddivisa in livelli/aree professionali. L’appartenenza a tali livelli è determinata sulla base di declaratorie generali delle caratteristiche dell’attività prestata, nonché di un’elencazione dei diversi profili professionali specifici e, quindi, delle mansioni o delle professionalità comprese in ciascun livello (o categoria o area professionale). Perciò, alla luce dell’esperienza dell’inquadramento unico, sono venute meno molte delle distinzioni di trattamento inerenti le categorie legali di cui all’art. 2095 cod. civ. e, in particolare, quelle tra impiegati ed operai, permanendo residuali differenziazioni (come la durata del periodo di prova ed il preavviso di licenziamento).
L’inquadramento professionale di un lavoratore (anche se con qualifica dirigenziale) va perciò oggi condotto con un procedimento logico-giuridico che si basa non già su criteri distintivi elaborati in astratto, ma raffrontando il tipo di mansioni (ex art. 2103 cod. civ.) concordate all’atto del perfezionamento della volontà contrattuale sia con l’attività lavorativa (mansioni) in concreto svolta dal prestatore di lavoro che con la normativa posta dal contratto collettivo (ossia le qualifiche e aree/livelli professionali previsti dallo stesso).
Ai fini dell’inquadramento del lavoratore rilevano dunque le mansioni, mentre è irrilevante la professionalità soggettiva del lavoratore. Tuttavia, se la legge o il contratto collettivo prevedono specifici requisiti di idoneità professionale per una determinata qualifica (ad es. titolo di studio, licenza amministrativa, ecc.), il lavoratore, privo del requisito non può pretendere il relativo inquadramento “ed il suo contratto di lavoro è nullo per violazione di legge oppure annullabile per errore”.
Qualifica. Il concetto di qualifica può essere inteso in senso soggettivo, oggettivo e convenzionale.
La qualifica soggettiva identifica l’insieme delle capacità professionali del lavoratore, ossia il “patrimonio di conoscenze e capacità professionali che il lavoratore possiede e che è preesistente alla stessa instaurazione del rapporto di lavoro”.
La qualifica oggettiva è solo una variazione terminologica delle mansioni effettive. In altri termini, la qualifica contrattuale, intesa in senso oggettivo, non è che una trasposizione, in chiave soggettiva, del nome della prestazione dovuta, ed indica quest’ultima o una sua porzione[11] ovvero l’insieme di mansioni che individuano una figura professionale solitamente prevista dai contratti collettivi.
La qualifica convenzionale è una qualifica formale che non sempre riflette i compiti sostanzialmente svolti dal lavoratore, rilevando in quanto tale e non perché collegata alle mansioni, come, invece, presupporrebbe l’art, 96 disp. att. cod. civ., ed è lecita a condizione che comporti per il dipendente un trattamento complessivo di miglior favore rispetto alla qualifica di base. Così, il riconoscimento meramente formale della qualifica dirigenziale, indipendentemente dalle mansioni esercitate dal lavoratore, non comporta automaticamente l’applicabilità del trattamento legale previsto per il dirigente, si pensi alla disciplina del licenziamento.