Uno strumento tipico di composizione della controversia è la transazione, che presenta delle caratteristiche peculiari che la distinguono dalla mediazione e dalle altre tecniche ADR. La transazione è un contratto tipico previsto dal nostro codice civile all’art. 1965, con il quale le parti risolvono una lite già insorta o ne prevengono la futura insorgenza, facendosi reciproche concessioni (l’aliquid datum e l’aliquid retentum) attinenti alle questioni controverse o anche estranee ad esse (c.d. transazione mista ex art. 1965, comma 2). La natura dispositiva della transazione si desume dall’art. 1965 c.c., comma 2 che parla espressamente, a proposito delle reciproche concessioni, dell’effetto di creare, modificare ed estinguere rapporti giuridici. Tale contratto suggella e concretezza la volontà delle parti in merito al contenuto e alle modalità di estinzione della controversia.
Dalla disciplina della transazione, che è l’unico contratto tipico che presenta come causa proprio la risoluzione di una controversia, si ricava che il naturale limite al potere negoziale delle parti è costituito dalla indisponibilità del diritto: infatti, l’art. 1966 c.c., comma 2, sanziona con la nullità la transazione relativa ai diritti indisponibili.
Approfondendo l’analisi degli strumenti alternativi a carattere consensuale si comprendono meglio le ragioni che portano spesso a confondere tra mediazione e transazione: posto che entrambe hanno natura contrattuale e permettono di raggiungere il medesimo obiettivo, quello di risolvere la controversia.
Un’autorevole dottrina ha fatto confluire la conciliazione, la transazione e anche l’arbitrato, nella categoria dei c.d. “equivalenti del processo civile”. L’elemento tipico che accomuna questi strumenti di composizione delle controversie, inclusa la conciliazione, è che in tutti la fonte della risoluzione della lite è individuabile nella volontà delle parti; infatti essi realizzano la composizione pacifica del conflitto per volontà delle stesse parti litiganti, configurando un’ipotesi di negozi privati ad finiendas lites.
Sono evidenti, però, anche delle differenze strutturali tra la transazione e la mediazione, in quanto la prima si perfeziona con il mero incontro delle volontà delle parti senza la necessaria presenza e l’intervento facilitatore del terzo. Inoltre l’accordo transattivo implica necessariamente l’aliquid datum e l’aliquid retentum, cioè le reciproche concessioni, invece l’accordo prodotto dalla mediazione può consistere anche nella rinuncia alla propria pretesa o nel riconoscimento integrale delle pretese altrui. L’accordo ha natura contrattuale e, generalmente, ma non necessariamente, transattiva. Nell’ipotesi di c.d. “conciliazione parziale”, allorquando le parti raggiungono un accordo attraverso reciproche concessioni, è evidente l’analogia con la transazione”.
Nel Libro Verde” viene operata una sostanziale assimilazione della mediazione alla transazione, soprattutto sul piano dell’efficacia giuridica dell’accordo transattivo, per il quale si rimanda, poi, alla disciplina prevista in ciascuno Stato membro.
In realtà, anche se lo scopo è il medesimo, vi è una sostanziale differenza: la transazione permette di superare le pretese iniziali delle parti tramite le reciproche concessioni, una contrattazione, quindi, che verte sulle rispettive pretese, piuttosto che sui reali motivi e interessi sottostanti a ciascuna di esse; mentre la mediazione professionale, porta a un riassetto dei rapporti tra le parti che rende secondarie le loro iniziali posizioni attraverso un’approfondita ricerca dei loro interessi sottostanti alla lite. Inoltre, l’elemento della presenza di un terzo serve da “catalizzatore”, permettendo di superare la logica della “via di mezzo”, del reciproco sacrificio, tipica dell’accordo transattivo, per arrivare ad un risultato che può essere anche completamente diverso rispetto alle originarie pretese delle parti.