L’associazione in partecipazione è uno dei contratti tipici disciplinati dal codice civile.
Esso è il contratto in cui una parte (l’associante) attribuisce ad un’altra (l’associato) il diritto a partecipare agli utili della propria impresa o, in base alla volontà delle parti contraenti, di uno o più affari determinati, dietro il corrispettivo di un apporto da parte dell’associato. Tale apporto, secondo la giurisprudenza prevalente, può essere di natura patrimoniale ma potrà anche consistere nell’apporto di lavoro, o nell’apporto misto capitale lavoro. Per un esempio è possibile vedere questo modello di contratto di associazione in partecipazione su Documentiutili.com.
Nella società di oggi il contratto di associazione in partecipazione è di solito usato nel modo che segue: l’associante corrisponde una somma e l’associato percepisce una somma di denaro.
La disciplina del contratto di cui ci stiamo occupando è contenuta nell’art. 2549 e seguenti del codice civile.
La disciplina del codice civile prevede una partecipazione, da parte dell’associato, al rischio della gestione dell’impresa (o dei singoli affari per cui è prevista l’associazione): questo avviene nel caso in cui il risultato della gestione dell’attività dedotta in contratto (o dei singoli affari) risulti in perdita. A fronte della partecipazione al rischio, essa prevede anche, quale contrappeso, alcuni obblighi di rendicontazione periodica in capo all’associante, che formalizzano un diritto di ingerenza nella gestione in capo all’associato. In altre parole, l’associante (titolare dell’impresa) dovrà fornire il rendiconto della gestione all’associato così da rendere quest’ultimo conscio di come sta andando la gestione di impresa.
Risulta essere ammessa, rispetto a quanto si possa pensare avendo avuto riguardo a quello che è stato detto, dalla giurisprudenza, l’esclusione o la limitazione della partecipazione alle perdite da parte dell’associato. A questo proposito è stata anche ritenuta compatibile, con lo schema contrattuale, la clausola che garantisca all’associato la spettanza di un minimo garantito, anche in presenza di utili esigui o addirittura di perdite.
Risulta essere possibile inoltre stabilire contrattualmente che la corresponsione degli utili maturati, a scadenze intermedie rispetto alla vigenza temporale del contratto.
Inoltre è possibile la corresponsione di anticipi sugli utili futuri, che saranno oggetto di conguaglio in sede di rendicontazione della gestione.
In altre parole, l’associante e l’associato possono accordarsi per un minimo garantito (mensile o annuale) in favore di quest’ultimo e prevedere che l’associato partecipi solo agli eventuali utili e non alle perdite della gestione di impresa.
L’associato avrà diritto al controllo della gestione dell’affare o dell’attività dell’associante e, se il contratto ha durata superiore ad un anno, alla relazione annuale; tuttavia, i poteri di controllo dell’associato possono essere contrattualmente ampliati.
L’associante non può stipulare ulteriori contratti di associazione in partecipazione senza il consenso del precedente associato.
Nella maggior parte dei casi, purtroppo, anche lo strumento del contratto di associazione in partecipazione viene utilizzato al solo scopo di mascherare un contratto di lavoro subordinato in quanto, fiscalmente, il contratto che stiamo analizzando è meno gravoso.
Risulta essere, quindi, utile ricordare la distinzione tra i due contratti elaborata negli anni dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: “Nel contratto di associazione di cui all’art. 2549 c.c. (…) la partecipazione agli utili ed alle perdite da parte dell’associato può tradursi, per quanto attiene ai primi, nella partecipazione ai globali introiti economici dell’impresa o a quelli di singoli affari, sicché sotto tale versante non assume alcun rilievo ai fini qualificatori il riferimento delle parti contrattuali agli utili dell’impresa o viceversa ai ricavi per singoli affari; e per quanto attiene alle seconde ‑ in ragione del rischio proprio della causale associativa del rapporto contrattuale ‑ in un corrispettivo volto a prevedere, oltre alla cointeressenza negli utili, anche una quota fissa (da riconoscersi in ogni caso all’associato), di entità non compensativa della prestazione lavorativa e, comunque, non adeguata rispetto ai criteri parametrici di cui all’art. 36 della Costituzione”.
Ciò che è tenuto in grande considerazione ai fini della distinzione tra l’associazione in partecipazione e il rapporto subordinato è, dunque, la partecipazione agli utili e/o alle perdite di impresa e la rendicontazione periodica. In un eventuale giudizio andrà dimostrato che quanto sopra sussiste veramente e non è un mero strumento per ovviare a forme contrattuali più gravose.